La Suprema Corte, con la sentenza Cassazione civile, 3 agosto 2017, n. 19422, ha fatto propri i principi giurisprudenziali che nel tempo si sono orientati verso il riconoscimento della autonoma ed astratta risarcibilità dei danni da violazione dei doveri coniugali. Occorre segnalare però che, nonostante tale apertura, la Suprema Corte, nella quantificazione del danno ha chiarito in maniera molto ferma che la lesione, per quanto grave e significativa, non può essere riparata parametrando il ristoro alla capacità patrimoniale e reddituale del coniuge danneggiante.

Nel caso di specie, una donna che ha appreso della esistenza di una figlia che il marito ha avuto nell’ambito di una relazione extra coniugale, lamenta di avere subito un danno anche per effetto delle modalità e delle circostanze con cui è venuta a conoscenza del tradimento. Pertanto, la stessa, ha qualificato e quantificato il danno patito in conseguenza del tradimento non solo quale lesione della propria dignità e della salute ma anche quale perdita dei vantaggi economici che le sarebbero derivati in caso di persistenza del vincolo matrimoniale in considerazione delle capacità patrimoniali e reddituali del marito/danneggiante.

Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha mostrato anzitutto una apertura nei confronti della linea interpretativa favorevole alla autonoma ed astratta risarcibilità dei danni da violazione dei doveri coniugali. I Giudici di legittimità, infatti, là dove hanno riconosciuto il danno patito dalla ricorrente a seguito della “lesione della dignità e della salute per effetto delle modalità e circostanze nelle quali ha appreso dell’esistenza … di una figlia che il marito aveva avuto da una precedente relazione” hanno infatti incluso, fra le violazioni lese, la dignità del coniuge tradito (sempre in relazione al comportamento del coniuge danneggiante che, come detto, nella presente fattispecie, aveva avuto un figlio con un’altra donna). Con conseguente ampliamento del novero dei danni da lesione dei diritti della persona.

Eppure, nonostante tale apertura la Suprema Corte, nella quantificazione del danno ha chiarito in maniera molto ferma che la lesione, per quanto grave e significativa, non può essere riparata parametrando il ristoro alla capacità patrimoniale e reddituale del coniuge danneggiante.

Ciò in quanto la fattispecie non può essere inquadrata sub specie di addebito, bensì come fatto illecito ex artt. 2043 e 2059 c.c. In conclusione, si deve quindi ritenere che, sotto il profilo interpretativo, si stia sempre più consolidando il principio per cui la violazione dei doveri coniugali dia luogo ad un illecito civile autonomo ed astratto, che nondimeno non può essere confuso, né sovrapposto con l’istituto dell’addebito della separazione che risponde a regole e criteri ben diversi rispetto a quelli che soprintendono il c.d. “danno da tradimento”.

Ne deriva che, anche sotto il profilo processuale, laddove l’inadempimento dei doveri coniugali che ha dato luogo ad addebito della separazione sia stato così rilevante da integrare anche una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., in ogni caso, sarà necessario un autonomo procedimento, per la diversità di rito che interessa le questioni strettamente connesse alla separazione.