La Suprema Corte, con la sentenza Cassazione Penale, IV Sezione, 11 luglio 2017, n. 33772 ha statuito che “ai fini della configurabilità del reato di omissione di soccorso ai sensi dell’articolo 189 del codice della strada non costituisce antefatto necessario la circostanza di essere responsabile del sinistro occorso, giacché il dovere di prestare soccorso alle persone ferite sussiste in capo a tutti coloro che siano stati genericamente coinvolti nell’incidente e non solo su chi lo ha causato”.

Il caso in esame vedeva la condanna  per i reati di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 189, commi 1, 6 e 7, della conducente di un furgone, la quale non aveva ottemperato all’obbligo di prestare assistenza alla persona ferita, avendo con la propria condotta di guida determinato un incidente stradale dal quale erano derivate lesioni personali a un motociclista.

In particolare l’incidente si era verificato in quanto l’imputata, compiendo una manovra di svolta, aveva tagliato la strada al motociclista che proveniva dall’opposta direzione, e ne aveva provocato la caduta in assenza di contatto; pur essendosi avveduta della caduta (si era fermata poco più avanti, ripartendo subito dopo), non aveva ottemperato all’obbligo di farsi identificare e di prestare soccorso; un testimone aveva preso il numero di targa del suo furgone consentendone l’identificazione.

Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha ricordato come, per giurisprudenza consolidata,  l’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 7, sia integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile  quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente che l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi.

La Suprema Corte, ritenendo di condividere la ricostruzione effettuata dai giudici di merito circa il raggiungimento della prova certa che l’imputata si fosse resa realmente conto di aver provocato un sinistro, laddove si è ritenuto che l’ubicazione del veicolo rispetto alla moto al momento della caduta, il fermo temporaneo del veicolo nell’immediatezza del fatto, i segnali di richiamo lanciati dal motociclista, il ritorno del veicolo sul luogo del sinistro e la verifica che l’infortunato fosse stato soccorso (secondo la testimonianza della madre dell’imputata) fossero elementi dimostrativi che l’imputata fosse pienamente consapevole di aver causato la caduta del motociclista, ha respinto le censure proposte condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.