Dopo che, in sede consensuale e di successiva modifica della stessa ex art. 710 c.p.c., non era stato disposto alcun assegno a carico della moglie, quest’ultima ne fa richiesta nel giudizio di divorzio, adducendo il miglioramento delle condizioni economiche del coniuge ed il permanere del suo stato di disoccupata. Il Tribunale accoglie parzialmente il ricorso per la misura dell’assegno dovuto ai figli, ma nega il mantenimento alla moglie, rilevando che la stessa aveva nel frattempo venduto un cespite senza dar conto della destinazione del ricavato ma, soprattutto, rilevando che la donna non aveva adempiuto all’onere a lei spettante in relazione all’impossibilità di svolgere attività lavorativa (Tribunale Roma, sezione I civile, sentenza 23 giugno 2017).
Nel caso di specie, infatti, la richiedente aveva realizzato notevoli economie trasferendosi da Roma a Caserta, nonché aveva realizzato un attivo di 200.000 euro vendendo (per l’impossibilità di pagare il mutuo) un immobile, elementi che vengono adeguatamente considerati dal Tribunale. Ciò che, leggendo la motivazione, risulta tuttavia determinante per il rigetto della richiesta di mantenimento, è il fatto che la donna non aveva, né dedotto, né provato, di essersi attivata per trovare un’occupazione consona alla sua esperienza professionale ed al titolo di studio posseduto, nonché che ella non aveva dimostrato di trovarsi nell’impossibilità di svolgere “qualsivoglia attività lavorativa”.
Risultano pertanto riaffermati, sia il principio secondo cui il parametro cui rapportare il mantenimento non è più il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, bensì quanto necessario per un’esistenza libera e dignitosa, sia il principio secondo cui l’onere probatorio in relazione all’impossibilità di trovare un lavoro compete al richiedente. Si noti che, in particolare in ordine a tale secondo aspetto, la sentenza in esame afferma che la prova dell’inesistenza di effettive possibilità di lavoro può essere data dalla parte onerata con ogni mezzo, non escluse le presunzioni, ma che il richiedente deve comunque allegare (e provare in caso di contestazione), le “concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica”. L’onere, pertanto, si articola in una doppia prova, che, complessivamente, vale ad integrare il presupposto richiesto. Rispetto al passato, vi è una valutazione più rigorosa dell’onere, che, solitamente, si inseriva in una valutazione complessiva della fattispecie, rimessa alla discrezionalità del giudice.