A parere del Tribunale di Trento (sentenza 18 aprile 2017, n. 174), non sussiste il reato di abuso dei mezzi di correzione o disciplina, bensì quello più grave di lesioni personali dolose, aggravate dall’uso delle armi ai sensi dell’art. 585 c.p., ogni qualvolta si usi violenza sulla vittima, benché si agisca per fini disciplinari, mediante l’utilizzo di strumenti atti ad offendere la persona (come una cintura e un cavo elettrico), i quali sono da qualificarsi quali “armi improprie”. Inoltre, per “arma impropria” deve intendersi qualsiasi oggetto, anche privo di apparente idoneità all’offesa, che sia, in concreto, utilizzato per procurare lesioni personali.
Nel caso di specie, la madre di una ragazza, entrambe di origini equadoregne, è stata tratta a giudizio dinanzi al Tribunale di Trento per rispondere del reato di abuso dei mezzi di correzione di cui all’art. 571 c.p., col vincolo della continuazione, per avere realizzato, a fini correttivi e di disciplina, più atti di violenza a carico della figlia, a fronte della sua cattiva condotta scolastica (era stata bocciata tre volte) e dell’inadempimento di lavori domestici a lei affidati. Atti realizzati a seguito dell’ultima bocciatura, dalla quale la madre aveva, poi, imposto una serie di limitazioni come forma di punizione (divieto di usare il cellulare e uscire con gli amici).
Dal dibattimento, in particolare, è emerso che l’imputata aveva picchiato la figlia almeno due volte con una cintura sulle gambe, sulla schiena e sulle braccia, mentre in altra occasione lo aveva fatto nelle stesse parti con l’uso di un cavo elettrico del televisore, dopo avere appreso che aveva trasgredito al divieto di utilizzare il cellulare (procurandole così diversi lividi ed ematomi, poi documentati nel processo con la produzione di fotografie). A seguito di quest’ultimo episodio, la ragazza si allontanava dall’abitazione familiare, per riparare presso una casa protetta.
Nel corso del processo, oltre all’acquisizione delle suddette fotografie, venivano assunti numerosi testimoni, tra cui la stessa persona offesa, nel frattempo costituitasi parte civile.
Anche se diversi testimoni non avevano appreso direttamente gli atti violenti perpetrati dall’imputata a carico della figlia, e dopo avere vagliato attentamente le dichiarazioni rese da ogni singolo teste e le produzioni documentali, il Tribunale ha reputato sussistente la responsabilità penale a carico della prima, seppur discostandosi dal contenuto del capo di imputazione. All’esito dell’istruttoria, infatti, il Giudice, considerati i danni arrecati sulla persona della figlia, ha condannato la madre non per l’abuso dei mezzi di correzione, ma per il ben più grave reato di lesioni personali (art. 582 c.p.), sempre sotto il vincolo della continuazione, aggravato dal vincolo di parentela e, soprattutto, per aver agito con l’uso di armi improprie (cintura e cavo elettrico).